Yoga

Duhkha, la sofferenza

Il termine sanscrito Duhkha indica la sofferenza, che – nelle discipline orientali – è una parte fondamentale dell’essere vivi. È un concetto chiave nel buddismo e si traduce come dolore, sofferenza, stress o insoddisfazione.

Nella mente ha origine la sofferenza; nella mente ha origine la cessazione della sofferenza.

(Siddhartha Gautama)

I sutra buddisti dividono duhkha in tre categorie:

  • Duhkha-duhkha: le esperienze dolorose in quanto tali, ovvero quelle che incontriamo naturalmente nel percorso della vita, le sofferenze fisiche e mentali della nascita, della malattia, dell’invecchiamento e, in ultimo, della morte.
  • Viparinama-duhkha: un’esperienza piacevole e felice che si trasforma in qualcosa di spiacevole. Questo stato di dolore è legato all’impermanenza delle cose, tutto cambia e si trasforma, niente rimane uguale per sempre.
  • Sankhara-duhkha: l’esperienza condizionata, legata alle aspettative. Qui si ritrovano i dolori relativi all’insoddisfazione perenne procurata dall’esistenza nel samsara.

Le Quattro Nobili Verità descritte nella dottrina buddista, definiscono duhkha come “un’insoddisfazione di base che pervade tutta l’esistenza e tutte le forme di vita, perché tutte le forme di vita sono mutevoli e impermanenti“.

L’obiettivo quindi è sviluppare l’intuizione e la comprensione della natura di duhkha, in questo modo il suo aspetto apparentemente negativo diventa insegnamento. Questo concetto implica guardare le condizioni che lo fanno sorgere e come può essere superato.

Dukha rappresenta uno dei tre segni dell’esistenza, insieme a:

  • Anitya, l’impermanenza, il cambiamento, il divenire;
  • Anatman, il non sé, l’in sostanzialità della personalità, l’inesistenza di un nucleo permanente e separato;

All’interno del buddismo e dello yoga, l’idea di equilibrio è un insegnamento fondamentale e il concetto di duhkha rappresenta una parte essenziale della vita, perché senza sofferenza, non può esserci gioia. Senza dolore, non ci può essere crescita o sviluppo.

La gente di solito si rifugia nel futuro per sfuggire alle proprie sofferenze. Traccia una linea immaginaria sulla traiettoria del tempo, al di là della quale le sue sofferenze di oggi cessano di esistere.

(Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere)

 

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